Malattia renale cronica: diagnosi e trattamento di una patologia sempre più diffusa.
A livello mondiale si stima che 1 persona su 10 sia affetta da malattia renale cronica (MRC), una patologia definita come “presenza di alterazioni morfologiche/strutturali e di alterata funzione renale che persistono per più di 3 mesi”. La MRC rappresenta un’importante causa di morbidità e mortalità nella popolazione, oltre che un rilevante problema di salute pubblica, considerando che può portare a un declino irreversibile della funzione renale (stadio terminale), per cui si rendono necessari dialisi e trapianto, e a un notevole aumento del rischio di patologie cardiovascolari (1).
L’incidenza globale della MRC è aumentata dell’89% nell’ultimo trentennio, così come parallelamente è aumentata la sua prevalenza, dell’87%. Questo trend in crescita sembra legato al parallelo invecchiamento della popolazione, all’aumento dell’incidenza di alcune comorbidità come diabete, ipertensione e obesità, oltre che all’aumento delle diagnosi precoci, anche grazie a un progressivo miglioramento degli strumenti diagnostici nel tempo (2).
In Italia, lo studio CARHES della Società Italiana di Nefrologia, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, ha mostrato una prevalenza della malattia renale cronica del 7,5% negli uomini e 6,5% nelle donne, peraltro maggiore negli stadi iniziali rispetto agli stadi più avanzati (3).
La stadiazione della MRC deve tener conto sia della velocità di filtrazione glomerulare (VFG) che della presenza di proteinuria/albuminuria. La valutazione congiunta di entrambi i parametri (6 stati di VFG e 3 gradi di albuminuria) migliora, infatti, la stima del rischio di progressione del danno renale, delle sue complicanze e dell’outcome del paziente (1) (Figura 1).
Stadi 1-2
Stadi caratterizzati da lievi alterazioni urinarie (proteinuria e/o ematuria), in assenza di sintomi, senza riduzione evidente della VFG (4).
Stadi 3a-3b
Stadi caratterizzati dalla riduzione della VFG <60 ml/min con proteinuria di grado variabile, e alterazioni del metabolismo rilevabili con esami di laboratorio. Si parla di insufficienza renale cronica (IRC) (4).
Stadi 4-5
Stadi caratterizzati da IRC severa (VFG <30 ml/min) e dalla comparsa di complicanze cliniche evidenti (4).
La malattia renale cronica, soprattutto se ai primi stadi, può essere particolarmente subdola perché quasi del tutto asintomatica o caratterizzata solo da sintomi aspecifici quali letargia, stanchezza, prurito, nicturia e inappetenza (5). I sintomi clinici tipici della sindrome uremica, infatti, si manifestano spesso solo in fase avanzata quando, man mano che la malattia progredisce e la funzionalità renale si riduce, nell’organismo si accumulano varie sostanze note come soluti di ritenzione uremici, che comprendono le tossine uremiche (5). Queste sostanze tossiche biologicamente attive contribuiscono all’infiammazione, alla disfunzione immunitaria, alla malattia vascolare, alla disfunzione piastrinica, all’aumento del rischio di sanguinamento, alla disbiosi intestinale e complessivamente alla progressione della MRC (5). I segni e i sintomi uremici sono quindi molteplici e in genere interessano tutto l’organismo: stanchezza, letargia, difficoltà nel linguaggio e di attenzione, nausea, vomito, perdita dell’appetito, alitosi uremica, oliguria, nicturia, proteinuria, ematuria, prurito e crampi, edema periferico, pallore da anemia, difficoltà respiratorie, ipertensione (5).
Inoltre, nelle prime fasi della malattia anche le alterazioni degli esami di laboratorio possono essere solo lievi o possono rimanere ignote se non adeguatamente indagate (4). Ecco perché è fondamentale che il medico di medicina generale (MMG) utilizzi gli strumenti a sua disposizione per favorire una diagnosi il più possibile precoce, e poter intervenire precocemente anche sulla progressione della malattia. La diagnosi si basa sull’utilizzo di esami semplici e poco costosi, quali l’esame delle urine, per valutare albuminuria e proteinuria e calcolare il rapporto albuminuria/creatininuria, e il dosaggio della creatinina plasmatica, per la determinazione della VFG (6).
Sesso, etnia e obesità, da soli e in assenza di questi fattori di rischio, non sono indicatori per consigliare il test.
Nel caso di identificazione precoce di alterazioni tramite esame delle urine e creatininemia, il medico di medicina generale potrà formulare eventuale diagnosi di MRC, indicando la stadiazione sulla base del valore di VFG calcolato. Se il paziente ha la malattia in uno stadio già avanzato si procede con l’invio al nefrologo che lo prenderà in carico o, successivamente, lo riaffiderà al MMG con un protocollo condiviso di gestione (1) (Figura 2).
Figura 2. Percorso del paziente per 1° inquadramento di nefropatia (1)
Tra i pazienti da inviare al nefrologo rientrano pertanto (1):
Interventi sullo stile di vita, terapia farmacologica e terapia dietetico-nutrizionale (TDN) sono i tre elementi cardine della terapia conservativa della malattia renale cronica, il cui scopo è quello di conservare per più tempo possibile la funzionalità renale residua, prevenire e controllare le complicanze e rallentare la progressione della patologia verso la fase terminale (4).
La terapia farmacologica prevede il trattamento del paziente al fine di controllare i fattori di rischio renale e cardiovascolare (con antipertensivi, ACE inibitori, statine ed eritropoietina, ad esempio) e la glicemia (con anti-diabetici), controllare i liquidi extracellulari (con diuretici) e l’acidosi metabolica (con bicarbonato). In parallelo, di fondamentale importanza è la TDN, che deve anticipare ed integrarsi con le terapie farmacologiche (4).
La terapia dietetico-nutrizionale ha un ruolo cruciale nel trattamento della malattia renale cronica in fase conservativa ed ha come obiettivi il mantenimento di uno stato di nutrizione ottimale, la prevenzione della malnutrizione, la prevenzione o il trattamento dei sintomi e delle complicanze della malattia renale cronica e l’allontanamento nel tempo della necessità di ricorrere alla terapia sostitutiva (9). Essa si basa primariamente sulla riduzione dell’apporto proteico (dieta a ridotto intake proteico), ma prevede anche un adeguato apporto calorico, il controllo dell’intake di fosforo e potassio e la riduzione dell’assunzione di sodio. Alla base di questo schema dietetico vi è l’evidenza che, quando la funzione renale diminuisce, deve ridursi di conseguenza anche il carico renale, in modo da permettere ai nefroni residui un controllo adeguato dell’escrezione delle tossine uremiche e degli acidi fissi (9). Un supporto fondamentale per la corretta elaborazione di una dieta ipoproteica è infatti rappresentato dai prodotti dietietici aproteici che, costituiti prevalentemente da carboidrati e specificamente formulati per essere praticamente privi di proteine, fosforo, sodio e potassio, permettono di elevare l’apporto energetico e includere alimenti ricchi in proteine ad alto valore biologico, come uova, latte, carne e prodotti della pesca, sotto lo stretto controllo di un professionista della nutrizione.
Inoltre, dal punto di vista qualitativo, questa dieta prevede l’inclusione di alimenti prevalentemente vegetali per i possibili effetti favorevoli sul metabolismo del fosforo e sull’equilibrio acido-base, con miglior controllo della pressione arteriosa e dell’emodinamica renale, e per gli effetti positivi sulla salute del microbiota intestinale con riduzione della disbiosi e della produzione di tossine uremiche (9).
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